Critica


Il percorso artistico di Lucrezia Salerno comincia nel 1991 e prosegue fino ad oggi, con un intervallo, tra il 2011 e il 2018: si tratta di un’interruzione non di una discontinuità.
L’artista ha sempre lavorato a partire dal suo vissuto. Emozioni, dolori e ricordi si concretano in narrazioni materiche, Immagini, ossessioni, fantasie si volatizzano in cottura lasciando impronte. La tensione tra il vuoto dei corpi e il pieno delle energie psichiche costituisce il tema di fondo di tutta la sua produzione artistica.
Mettendo continuamente in discussione i limiti della tecnica ceramica, in una trama d’argilla fonde rame, vetro, cotone e la sua ricerca si è sviluppata in cicli successivi di sculture di diverso formato: endogenesi esogenesi e mi alzavano muri e non vi feci caso (1994), c’è qualcosa nella morte che ricorda l’amore (1999) e Io non sono qui (2011). Parallelamente, con grande passione, l’artista ha realizzato installazioni totali in cui le opere acquistano evidenza nel contesto, per via di sottrazione e si isolano in stanze sprofondate in uno spazio intimo: Voci nascoste nella stanza dei sogni (1999), Le vibrazioni del silenzio ovvero lo scorrere del sangue nelle vene (2000).
Dopo un intervallo di sette anni, Lucrezia ha ripreso il suo percorso artistico, precisando l’attenzione al vissuto femminile. Mal Maritata e Maternale (2020) elaborano la fatica e l’insensatezza del vivere della sposa e della madre, ovvero la negazione patriarcale del corpo e dei sensi della donna, per cui la frustrazione, la fatica, l’abbandono, lo spossessamento e l’alienazione vengono dati per scontati presupposti.
Nell’ultimo ciclo, Vuoto d’aria (2023), la porcellana è un drappeggio impietrito su corpi vuoti. La prima cottura libera l’opera dai materiali infiammabili, la seconda deforma la materia, diventando altro – ed è a questo altro che Lucrezia è interessata. Teche di vetro proteggono bianche e leggere forme vuote e traforate che rimandano ai pizzi, ai ricami, alla maglie a nodi d’uncinetto, alla tradizione devozionale salentina delle reliquie conservate sotto campane di cristallo.
Creazione e distruzione della materia, resistenza e fragilità, perpetuo ed effimero, grave e volatile, travaglio ed eleganza, passione e lutto sono gli estremi entro i quali Lucrezia Salerno vive e rinnova la sua continua ed inusitata ricerca artistica.

Dario De Bello

Il tema centrale  di Lucrezia Salerno è il sentimento del tempo come flusso inarrestabile che dal passato trascorre al futuro, laddove il presente è solo un attimo che è impossibile fermare. Inizia da qui il suo lavoro sulla fotografia (vecchie foto di un album di famiglia che potrebbe essere il suo o quello di  chiunque altro) e sulla scrittura ( parole e versi di poeti che riescono ad esprimere per lei e per altri emozioni e pensieri universali). La ceramica è supporto e collante di  queste realtà diverse,  foglio vivo su cui lasciare impronta.
Il passaggio all’installazione avviene comunque subito, e inevitabilmente, nella dimensione di un’arte totale che rispecchia la vita e ne distilla l’essenza.
Già nel 1991 alla loggia della mercanzia di Genova il cerchio magico costruito con rame, argilla, gres, collocati in un graduale passaggio dalla forma piana a quella tridimensionale, sintetizza e reifica il fluire del tempo, come il colore che l’artista dissemina sui muri, in piedi, al centro del cerchio, nel corso di una performance che mima l’azione dell’uomo nel tempo.
L’installazione diventa per la Salerno sempre più coinvolgente (l’artista la definisce installazione totale) nel senso di una esperienza esistenziale unica ed irripetibile vincolata ad un luogo e a uno spazio (e alla storia umana che vi è stata consumata), da fruirsi individualmente e in silenzio, senza il rumore di fondo della vita quotidiana, senza le inibizioni inevitabilmente connesse alla presenza di altri. Nascono da questo modo di operare Calato- Colato (1996) realizzata nella ex casa manicomiale di Bedburg-hau, dedicata al pozzo nero dell’inconscio e alla salvezza di una possibile convivenza con l’angoscia; la Stanza dei Sogni Genova, presso le arie del tempo, dedicata alla silenziosa percezione dello spazio del sogno (seguendo il filo rosso dei versi di Pessoa); il mulino del silenzio (Bosco Marengo 2000) che propone il dialogo tra la morte (il sangue fermo e rappreso nelle provette di vetro) e la vita (il rumore dello scorrere del sangue registrato dall’ecodoppler).
L’ansia di non riuscire a vivere il presente e comprenderne sino in fondo il senso e le ragioni, induce l’artista a iterare nell’installazione il fluire del tempo e, per antitesi a bloccarlo per sempre nello spazio mentale di fotografie elaborate al computer e incise a mano, quasi che la consapevolezza potesse nascere solo dalla compresenza più totale o dalla distanza.


Sandra Solimano (1950-2000 Arte genovese e ligure dalle collezioni del Museo d’arte contemporanea di Villa Croce)

Lucrezia Salerno parte dalla vita banale e reale dell’uomo, da quel suo quotidiano consumato e sofferto, per cercare e trovare  i segni del vissuto, le impronte del corpo greve e pesante e quelle dell’anima e della coscienza, per segnare, col segno del fuoco e delle terre bruciate e combuste questa scorza animale che nasconde dentro di se l’apparenza degli angeli e quella dei demoni, per trovare le tracce lasciate da ogni trascorrere labile e temporaneo, per trovarle e consegnarle al duraturo della sua attenta rappresentazione.
Per Lucrezia quell’impronta dei gesti d’ogni vivere nel giorno quotidiano, quelli della fatica scontata e quelli della gioia talvolta ritrovata o rincorsa, si ferma indelebile nell’impronta di terra che si scalda, che cuoce, che brucia dentro di sé nel fuoco acceso delle fornaci.

Luigi Tola

Il discorso visivo di Lucrezia Salerno, muove da due poli dialetticamente opposti: la terra e l’assenza.
L’artista non cessa  di dare, attraverso opere bidimensionali e tridimensionali, tangibilità, anche in senso tattile, al concetto sotteso alla sua visione del mondo, all’identità e la sua perdita, all’insondabilità dell’io, allo scambio simbolico tra la realtà e l’immagine. Quando parla di assenza allude alla sospensione nel tempo, nello spazio, di una presenza particolarmente in senso emozionale.
Il suo percorso creativo può essere attivato dalle sue letture poetiche, da  annotazioni diaristiche, da impressioni narrative e quindi da un rapporto con il reale frequentemente mediato dalla letteratura.
Un ulteriore sua frequentazione è quella del grès, della creta su cui imprime segni, orme con cui plasma e drammatizza le pieghe del cranio, le ombre del volto, il labirinto e gli abissi della mente.
C’è una matrice di ordine antropologica nel suo lavoro, il progetto di una scultura sociale, di una crescita dell’individuo a partire dalle sue radici, dal contatto con altre culture, soggetti altri.
Di quali rapporti è capace la realtà con l’immagine, quanta concretezza e quanta illusione condividono, non cessa di chiedersi Lucrezia Salerno in ogni sua opera.

Viana Conti

Lucrezia Salerno ricostruisce ambienti misterici, gremiti di segni che esaltano la spazialità attraverso elementi che si configurano come lacerti di cartigli, rotoli. Le figure geometriche del tondo e del rettangolo contengono vari eventi, dal segno informale alla reiterazione dell’immagine che perviene quasi a una memoria di paesaggio o a quella  della scrittura con la ceramica che si dispone nella bidimensionalità del foglio.

Luciano Marziano

Una costante ansia di sperimentazione contraddistingue Lucrezia Salerno, la sua ricerca plastica, svolta attraverso l’uso di stoffe imbevute nella porcellana, grès, rame, cera, alluminio, la porta ad investigare i processi che sovrintendono all’evoluzione della materia, investita e modificata dall’evento artistico.

Cecilia Chilosi (La ceramica del novecento in Liguria)

I lavori di Lucrezia Salerno, "Endogenesi- esogenesi” e “Stigmate”, gravi, silenziosi, di sorprendente equilibrio e misura interiore, sfuggono alle definizioni. Dalle due composizioni emerge il valore delle superfici come spazi delle tensioni, dei destini e delle lacerazioni temporali ed organiche della materia, assunta ad immagine inquietante della precarietà e della consunzione.
L’artista manipola brandelli di materia logorata ed esplora le simbologie delle sue metamorfosi fino agli estremi stadi della decomposizione. In questo processo prende corpo una specie di “ pittura plastica”, tormentata da interni travolgimenti di natura organica, densa di contenuti metaforici ed allusivi, riferibili ai corsi e ricorsi di una storia, di cui il tempo a frantumato l’unità e la memoria.

Franco Dante Tiglio

Interessata all’uso di più materiali, ed in particolare di stoffe imbevute negli ingredienti ceramici, ottiene delle forme in cui il reale si confonde con la propria ombra. La capacità di plasmare differenti materiali organici e di intravedere le possibilità espressive attraverso la cottura le consentono l’approdo a esiti di notevole interesse.

Dizionario degli artisti liguri a cura di Germano Beringheli